Studio Amadei

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• Perché mio figlio fa tanta fatica a scuola?

Per apprendere è necessario imparare a scrivere, leggere e “far di conto”, tutte attività che presumono competenze linguistiche ed accuratezza motoria adeguatamente sviluppate e che richiedono ad aree del nostro cervello di costruire dei collegamenti. Se questa capacità di fare “connessioni” non è ben funzionante diventa più faticoso APPRENDERE.

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• Perché mio figlio non vuole mai fare i compiti?


Fare i compiti presume che il bambino ne abbia desiderio, ciò è possibile solo se sperimenta piccoli successi. È pure necessario che sappia sopportare piccoli fallimenti avendoli già sperimentati senza ogni volta andare in crisi. Ciò gli permette di continuare a cimentarsi e di ottenere anche piccoli successi. Per questi bambini quindi è necessario che le proposte didattiche siano a loro misura, al fine di sostenerne la motivazione.  

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• Perché mio figlio non ricorda quello che studia?

Diversi fattori possono “minare la nostra memoria”: la comprensione dei contenuti? Le risorse di memoria? Sapere quale delle nostre memorie sia maggiormente “in forma”? Individuare cosa ostacoli la memorizzazione richiede quindi un’analisi accurata di competenze neuropsicologiche di base, quali le risorse di memoria, l’attenzione, il grado di distraibilità, ecc., unitamente ad abilità di comprensione verbale. È inoltre importante essere emotivamente sereni.

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• Perché mio figlio non parla ancora?


Imparare a parlare presuppone di saper comunicare non solo con le parole ma anche con lo sguardo, la mimica, i gesti. Dobbiamo pure avere un buon udito, e avere qualcuno che ci parla (se non sono sottoposta alla lingua inglese non la imparo) ed infine dobbiamo saper dare un significato a quanto ci viene detto. Una attenta analisi di quanto accennato ed altro ancora, va sempre fatta per capire come aiutare il bambino, quando chi gli sta accanto nota che il linguaggio stenta a maturare
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• Perché la mia memoria non funziona?

La memoria può deteriorarsi sia per un disfunzionamento di aree del nostro cervello, sia della nostra psiche (ciò che sta accadendo preoccupa talmente che evitiamo di pensarci, di porvi attenzione, i pensieri si fanno “disordinati” impedendoci di costruire degli archivi ordinati). Altre volte quanto ci accade è così disturbante da tornare continuamente in mente, ostacolando gli altri pensieri. Capirne le cause è il punto dipartenza.  

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• Perché non ricordo dove lascio le cose?

In genere si tratta di un disturbo dell’attenzione, anch’essa come la memoria può dipendere da disfunzionamenti di diverse aree della nostra corteccia cerebrale, così come da disfunzionamenti psichici. Come per la memoria si procede cercando di capire quale di questi problemi sia coinvolto e poi si indaga entro l’area problematica identificata.

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• Perché litighiamo tanto a casa?

La conflittualità può rappresentare un’importante spinta evolutiva, attraverso cui si afferma il proprio pensiero e si costruisce la capacità di agire sul mondo, come per esempio accade in adolescenza. Se non si perde di vista, il rispetto e l’ascolto dell’altro ci permette di differenziarci e di esprimere la nostra opinione. Quando però gli scambi sono permeati di conflittualità, con un senso di rabbia e frustrazione per tutti, serve aiuto per comprendere il senso di quanto avviene e poter costruire nuovi modi di capirsi e stare insieme.

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• Perché ho delle paure?

La paura serve a segnalarci i pericoli, per attivare comportamenti di protezione e di salvaguardia di sé.  A volte sono il segnale di un sovraccarico emotivo che viene alleviato attraverso un evitamento che attiva un meccanismo utile a circoscrivere l’angoscia e trovarne sollievo. Altre volte questi stati emotivi diventano pervasivi, a supporto del senso di sicurezza, ma a costo di enormi limitazioni, che ostacolano la crescita.

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• Perché mio figlio spesso ha male alla pancia o alla testa?

Nel bambino mente e corpo sono più intrecciati che nell’adulto. La capacità di riconoscere le proprie emozioni è ancora in fase di costruzione. Per questo, stati di tensione possono manifestarsi attraverso sintomi del corpo, talora passeggeri e legati a cambiamenti (es. inizio della scuola). Altre volte diventano modalità di espressione di stati emotivi che non possono essere sentiti e pensati. Escluse cause organiche è importante non sgridare il bambino, ma cercare di comprendere questi malesseri, che se pervasivi richiedono aiuto.

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• Perché mi agito in questo modo?


L’agitazione è uno stato della mente, con un corrispettivo corporeo. Compare davanti a situazioni non sentite padroneggiabili, che portano ad una attivazione. Può essere gradualmente regolata e incanalata in comportamenti e/o pensieri con un ritrovato senso di efficacia e padronanza. Altre volte invade la mente, lasciandola in difficoltà. Quando si presenta come una costante di particolari situazioni della vita o delle relazioni, o quando appare eccessiva, è il segnale di difficoltà, di cui è bene occuparsi.

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• Perché i miei figli non fanno quello che gli chiedo?


La disobbedienza può avere un significativo evolutivo. I bambini per crescere hanno bisogno di contrapporsi all’adulto, debbono poter dire “no”, ribellarsi occasionalmente alle richieste, per poter sperimentare una propria identità, differente da quella dei genitori. Tuttavia, serve loro imparare ad avere dei limiti, rispettare regole imposte dagli altri. È utile chiedersi quando la disobbedienza è il frutto di un’esperienza evolutiva necessaria o il segnale di un disagio più profondo della crescita d’ un bambino, che ostacola la relazione coi genitori.

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• Cosa dire ai figli quando ci separiamo?


Rendere partecipi i figli della scelta di separarsi è delicato e va gestito con cura entro la famiglia. Seppur faticoso, va comunicato chiaramente, perché li rende partecipi di un evento che li coinvolge. Lo si farà aiutandoli a comprendere che, anche se mamma e papà non ci sono più come coppia, ci saranno sempre come genitori.  La comunicazione di separazione deve tener conto dell’età dei bambini e del loro sviluppo. È importante che i genitori imparino a sostenere i figli nell’elaborazione dei vissuti che emergeranno e a proteggerli dal senso di colpa, aiutandoli a capire che non ne sono responsabili.

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• Cosa dire ai figli in caso di morte d’un familiare?


Quando una famiglia perde una persona cara, al dolore per il lutto si somma la difficoltà di affrontare l'argomento coi figli. È necessario dire la verità, anche se complicato, scegliendo le parole giuste a seconda dell'età e del livello di sviluppo del bambino. A volte i genitori sentono il bisogno di iper-proteggere i figli dal dolore e dalla sofferenza, rischiando però di privarli di strumenti cognitivi ed emotivi necessari ad affrontarle. È bene trasmettere al bambino che, pur essendo la morte una realtà inevitabile, la si può imparare a tollerare, se le nostre parole offrano speranza e consolazione, senza negare la realtà.

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